Daisy Miller e Isabel Archer sono due fra le più famose eroine jamesiane, entrambe protagoniste di storie il cui titolo richiama inevitabilmente l’opera di un pittore: il sottotitolo del primo – omonimo – racconto è, infatti, A Study (1878), e sembra quasi come se l’artista, prima di affrontare un grande quadro corale, a più figure, si sia concentrato soltanto su un personaggio. Non si tratta quindi di un semplice bozzetto, ma neanche di un ritratto ufficiale, bensì di un vero e proprio studio della figura, incentrato sulla ricerca delle sfumature interne, quelle che forse sfuggirebbero se l’autore si fosse occupato allo stesso tempo di altre persone. Isabel Archer è invece la protagonista del noto Ritratto di Signora (1881) e anche questo titolo suggerisce l’idea che, secondo Henry James, per conoscere, per comprendere davvero e fino in fondo una persona non si possa fare altro che scriverne o dipingerla.
Su questo argomento uno di saggi di maggiore interesse, oltre che uno dei più belli, è quello di Antonia S. Byatt, Portraits in Fiction, Vintage, 2002.
L’autrice, oltre a descrivere e a ripercorrere la storia dei più famosi ritratti raccontati in letteratura e ad affrontarne i diversi significati, si sofferma più di una volta su alcuni esempi tratti da romanzi di Henry James. Byatt parla molto di Milly Theale ne Le Ali della Colomba (1902), ma soprattutto riporta e approfondisce un bellissimo accenno alla descrizione del fantasma di The Jolly Corner (1908) che, secondo la critica Viola Hopkins, ricorderebbe quella che James fa di alcuni “Sargent’s powerful portraits of american businnessmen. Having established the solidity of specification of the physical presence, James goes on to describe the violence and opposition of this alternative version”, sottolineando però l’aspetto evocativo di una vita mancata, quella del protagonista, che gli ritorna davanti quasi contestandogli l’esistenza successiva.
Il ritratto a cavallo fra pittura e letteratura viene allora usato quasi come uno strumento per la ricerca di un possibile momento di ulteriore verità da parte dei protagonisti e dell’autore stesso, magari un’apparizione momentanea – quella di un fantasma o di un ricordo – un istante di consapevolezza, oppure la ricerca di un aspetto del protagonista che solo l’occhio del ritrattista è in grado di poter cogliere.
Donne e uomini si sottopongono, senza accorgersene e a volte loro malgrado, allo sguardo indagatore dell’autore che, a sua volta, molto spesso usa gli artisti quali veri e propri alter ego e le loro opere come mezzi di indagine indiretta per l’animo umano.
E così mentre un’altra protagonista jamesiana, Lady Beldonald, ne Un Holbein per Lady Beldonald ( 1901), nonostante la sua ben nota posizione sociale riuscirà sempre ad evitare di farsi ritrarre dall’io narrante del racconto – un giovane ritrattista di successo – con l’evidente scopo di nascondersi a se stessa, sottraendosi così ad un confronto con la propria identità, è un ritratto, quello della donna con lo scialle giallo, ne La Dolce Musa di Monsieur Briseux (1873), che svelerà alla protagonista la sua vera personalità, rivelandone i recessi più nascosti dell’anima, quando per la prima volta si sentirà compresa da un pittore che ancora è negli anni dei propri faticosi esordi.
Il miracolo di quel momento le cambierà la vita per sempre senza però mutarne il destino.
La donna, ormai anziana, si ritroverà davanti al proprio ritratto giovanile, ma quando verrà riconosciuta dal narratore il quale le dirà che, pur molti anni dopo, è proprio e ancora “lei era l’originale del ritratto”, si sentirà costretta a rispondere che no, “quella povera ragazza è morta e sepolta. Non sarebbe una menzogna se vi dicessi che non sono lei. Eppure, guardandola, il tempo mi è sembrato riavvolgersi a ritroso e quello che accadde allora ripetersi”.
E’ solo il ritrattista quindi che, secondo James, può comprendere la vera natura di qualcuno e allora ovviamente, come nel caso di Lady Beldonald che evidentemente aveva troppo da perdere, non tutti si sottopongono al suo lavoro mentre ad altri cambierà la vita, in una evidente metafora che sottintende che solo chi accetta i rischi di essere osservato in una vera relazione – quale appunto quella fra pittore e committente – può capirsi ed essere capito, con tutto ciò che ne consegue.
Ma cosa accade quando l’incontro fra la protagonista e se stessa, anche se ritratta, è casuale e inaspettato?
È una vera e propria premonizione quella che ha Milly Theale nelle pagine de Le Ali della Colomba quando si rivede in un ritratto di Bronzino, ed è una premonizione di morte che sarà fatalmente esatta.
Ma di cosa morirà la giovane ereditiera americana e quale è il male che la perseguita non è dato saperlo. Di certo lo si può intuire, la tisi probabilmente, il male di quegli anni tormentati fra belle époque, gilded age e fin de siècle. Ma c’è qualcos’altro che insegue come un’ombra maligna la giovane americana, qualcosa che la sua amica e rivale Kate Croy intuisce immediatamente pur senza potergli dare un nome, una specie di destino che consuma Milly per eccesso di vita.
Sir Luke Strett, il medico che visita Milly e che, con estrema partecipazione, ne segue le vicende, è una figura inedita e sfuggente e Kate Croy non tarda a rendersene conto domandando al suo complice e fidanzato Merton Densher che tipo di medico sia veramente e che malattia curi realmente.
Per concludere e per porci alcune domande anche noi su che tipo di medico potesse essere Sir Luke, vale la pena riportarne testualmente la singolare risposta alla domanda della giovane americana che gli chiedeva se avrebbe potuto continuare a vivere: “Mia cara signorina” replicò il suo distinto amico “vivere non è precisamente quello che sto tentando di persuaderla a prendersi la pena di fare?” e ricordare che il fratello di Henry James, William, il famoso filosofo pragmatista che, come è noto, era legatissimo allo scrittore, proprio in quegli anni era in stretto contatto con Sigmund Freud. Si incontrarono nel 1909 alla conferenza di presentazione della psicoanalisi in America, tenuta da Freud su invito della Clark University di Worcester, nel Massachusetts. Molti altri psicologi ben noti, tra cui Carl Gustav Jung, Alfred Adler, Ernest Jones e Sándor Ferenczi, erano arrivati con Freud e con loro era arrivato anche un nuovo modo di guardare alla medicina e all’animo umano la cui eco era però già rintracciabile nelle pagine della grande letteratura precedente.