La frequenza delle separazioni negli ultimi 20 anni ha contributo a ridurre la sensazione di anormalità che i figli di una coppia separata sperimentavano in passato, tuttavia non va sottovalutato il ruolo che assume all’interno della situazione specifica, la capacità dei genitori di scindere gli aspetti coniugali da quelli genitoriali in vista di un’efficace cooperazione nel progetto educativo dei figli. Nelle coppie genitoriali è necessario dunque che sia mantenuta una differenziazione tra ciò che attiene al registro della relazione di coppia e ciò che attiene al registro della relazione genitoriale; con la separazione si smette di essere una coppia coniugale ma si continua ad essere una coppia genitoriale. Ciò permette ai figli, al di là della separazione, di avere una continuità di relazione con la propria famiglia d’origine e con la propria storia che vada al di là della frattura coniugale. Tale compito può risultare particolarmente difficile: è possibile che nella fase successiva alla separazione i figli vengano utilizzati, sia dalla coppia sia dalle famiglie estese, per esprimere un conflitto che si materializza attraverso alleanze disfunzionali. I figli possono essere coinvolti in richieste di alleanze che prevedono scelte di campo a favore di un genitore o dell’altro: il conflitto di lealtà che ne scaturisce ha come conseguenze sensi di colpa e paura di perdere il genitore “rifiutato”, adultizzazione precoce, vissuti depressivi e difficoltà di svincolo durante l’adolescenza.
Nel 1971 le ricercatrici americane Judith Wallerstein e Joan BerlinKelly iniziarono un importante studio sugli effetti a lungo termine del divorzio sulle famiglie. Scelsero 60 famiglie in cui i genitori stavano divorziando. In queste famiglie c’erano complessivamente 131 figli dai 2 ai 18 anni.
Nei bambini più piccoli vennero riscontrate regressioni comportamentali: richieste di attenzione, disturbi del sonno o dell’alimentazione, enuresi secondaria, encopresi, comportamenti oppositivi, disturbi del linguaggio. Nella fascia prescolare compresa tra i 3 e i 5 anni, si osservarono configurazioni ricorrenti dominate da manifestazioni di timore, ansia, tristezza, pensiero magico di ricomposizione della famiglia, sindrome abbandonica.
I bambini in età scolare esprimevano sentimenti di tristezza, dolore, abbandono, insicurezza, conflitti di lealtà. La rabbia, provocata dalla frattura familiare, risultava essere più consapevole, organizzata e diretta verso uno dei due genitori o verso entrambi. In questa fascia di età, sul piano clinico, si rilevavano reazioni di tipo fobico, sintomi psicosomatici, peggioramento del rendimento scolastico.
Durante la preadolescenza, rispetto alle fasi precedenti, si rilevavauna minore frequenza della risposta di negazione all’evento separazione in favore di una maggiore consapevolezza dell’accaduto sebbene non fosse insolita, anche in questa fase, la comparsa di fantasie circa la possibilità di una riconciliazione dei genitori. Le reazioni osservate erano di tipo depressivo, comparsa di disturbi psicosomatici, atteggiamenti fobici e ossessivi. In altri casi il disagio si manifestava con acting out come piccoli furti, fughe da casa, cambiamenti di rendimento scolastico.
In adolescenza i ragazzi si trovavano ad affrontare contemporaneamente due transizioni, quella dell’infanzia all’età adulta e quella relativa alla separazione dei genitori e alla nuova riorganizzazione familiare. In tale fase si rilevavano reazioni depressive, somatizzazioni, precoce attività sessuale, fughe, abuso di alcool e droghe.
Wallerstein e Kelly sottolineano tuttavia che i disturbi del comportamento e i problemi psicosomatici che insorgono dopo la separazione tendono a risolversi naturalmente nel corso del primo anno e possono essere considerati normali reazioni all’evento traumatico. Parimenti al lutto, il trauma della separazione richiede un tempo di elaborazione, rappresentando anch’esso una linea di confine tra un “prima” e un “dopo”.
La separazione non può essere considerata un evento di per sé patogeno per i figli, ma il permanere nel tempo di specifiche conseguenze negative per il loro sviluppo è legato alla qualità dei rapporti che intrattengono con i genitori e al livello di conflittualità presente nella coppia. Nei casi in cui il disordine relazionale pervade l’area della genitorialità, il figlio viene chiamato attraverso i suoi sintomi, a giocare la sua parte nel sistema. La risoluzione delle manifestazioni sintomatiche del bambino e dei sentimenti di perdita, rabbia e autoaccusa che sempre accompagnano la separazione dei genitori, è strettamente connessa alla diminuzione del livello di conflittualità genitoriale e all’accettazione della definitiva separazione degli adulti. Per questi motivi la valutazione delle competenze genitoriali riguarda soprattutto la capacità di assumere un ruolo ripartivo rispetto alla sofferenza del figlio per i vissuti e le esperienze che lui può aver sentito come danneggianti, traumatiche e abbandoniche. Tra le capacità di resilienza del genitore separato, si sottolinea in particolar modo la capacità del genitore di rispecchiamento emotivo. La funzione riflessiva infatti rappresenta la capacità di attivare riflessioni e attribuire intenzioni e finalità ai comportamenti del figlio, identificandosi nei suoi bisogni, nei suoi stati mentali ed emotivi e nelle sue esigenze evolutive. Per il figlio di genitori separati è necessario che le figure di riferimento sappiano aiutarlo a riconoscere le proprie emozioni e a validarle, cioè a dargli significato.